martedì 13 gennaio 2009

dungen- tio bitar

dungen tio bitar, 2007 svezia genere psichedelia
familija ascolta qui

Adoro i gruppi che caratterizzano il proprio suono nei minimi dettagli: che studiano su ciascun aspetto del "come suonare" prima ancora di porsi la questione del "cosa". E adoro i Dungen, che della caratterizzazione hanno fatto il loro punto di forza a partire dalla ferma intenzione di proporre la loro musica cantandola tutta nella lingua natia, lo svedese.

Se il precedente "Ta Det Lugnt" li aveva segnalati al grande pubblico per l'eccelsa qualità compositiva, il nuovo "Tio Bitar" frantuma e sorpassa il record. Un capolavoro di illusionismo sonoro ed un gioco di citazioni che richiama le migliori influenze della musica rock 60-70 amalgamandole con assoluta personalità ed inventiva: Jethro Tull, Jimi Hendrix, Blue Cheer, Genesis, Jefferson Airplane, Can, Byrds, Pink Floyd, Beatles, May Blitz, Grand Funk Railroad e tutta la psichedelia sotterranea dei sixties, riproposti con l'onestà pratica di quella che a me sembra la miglior band revival del 21° secolo. Perché registra il tutto con una dovizia maniacale tra lo stereo ed il mono, l'effetto acustico del riverbero naturale e quella resa "analogica" del suono che fa di ogni strumento un organo caldo, potente, arrotato; come il basso mai distorto e sempre a tutto tondo, oppure la batteria vibrata, con quel suono "a tonfo" tipico delle percussioni Gretsch.

Qua e là un piano hammond, un sitar ed un flauto traverso a scomporre gli scenari. E a valanga, cambi di tono e ritmo che piovono quando meno te li aspetti tra intrecci melodici impossibili ed acustiche ammalianti che sfiorano tante volte l'ampollosità del prog soltanto per poi dipanarsi tra frustate di elettrica, strabordii di basso e ultracolpi di batteria sempre in primo piano, esaltata nel ruolo di traccia-guida.
E poi via, la miglior resa su disco per la sezione ritmica da dieci anni a questa parte. Che vien voglia di telefonare in Svezia per chieder loro dove hanno posizionato i microfoni, come hanno tirato le pelli, quali amplificatori hanno usato e come hanno lavorato sull'isolamento acustico di ciascuno strumento. E a suggellare quest'incantesimo di suoni perfetti, la musicalità della voce, che oltre le apparenti forzature linguistiche obbliga chi ascolta a riconvertire tutte le modalità di comprensione e semplicemente... lasciarsi andare. E' gioia pura poter cantare "uuhm ende pufta latta bendiii vairendedòr" (che è come chiedersi: quanto siete creativi mentre la mattina cantate farfugliando sotto la docci

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