lunedì 7 dicembre 2009

Per un nuovo alfabeto (e un nuovo immaginario) maschile


Il sorrisetto: "Gli uomini buoni, hai visto mai". Il cliché: "Voi siete quelli amici delle femministe". L'alzata di spalle: "Politically correct al maschile". Oppure, detto dai ragazzi, nelle scuole: "Siamo prima di tutto persone, non maschi o femmine". In giro sembra esserci una gran voglia di farla corta: con un sacco di cose, e forse soprattutto con l'ostinazione a spiegarsi tra donne e uomini. Figurarsi tra uomini - operazione inusuale, ancora più sospetta - come fanno da anni quelli dell'associazione Maschile Plurale nei gruppi di varie città, protagonisti in questo novembre a Roma, piazza Farnese, di un'iniziativa che ha parlato di violenza maschile contro le donne (il loro primo appello è del 2006) e non solo. "Non vogliamo essere gli esperti di mascolinità in crisi. Tantomeno scoprire il lato femminile di noi stessi: è una parodia di ciò che proviamo a fare. È che arrivi a un punto in cui certe cose ti sembrano ridicole, le senti stonate. La mia fatica è la battuta di complicità maschile, la gara sul lavoro a chi si mostra di più un vero maschio. Possiamo allora inventarci un cambiamento che non annacqui le differenze tra uomini e donne? Possiamo essere padri nuovi senza essere mammi? Possiamo desiderare, sedurre, usare diversamente un corpo rinchiuso nel paradigma della virilità, guardare fino in fondo dentro la violenza che gli uomini agiscono contro le donne?" Eccole qui, per bocca di Stefano Ciccone, che di Maschileplurale fa parte e ha appena mandato in libreria Essere maschi tra potere e libertà (Rosenberg & Sellier), alcune delle parole chiave di un nuovo vocabolario degli uomini. Che della crisi (del maschile) prende atto, e ha rubato al femminismo un po' di parole per raccontarsela, "perché non ne aveva di sue". Ma che adesso "sta arrivando a disegnare un proprio punto di vista". Senza colpevolizzarsi o deprimersi: "Ciò che ci unisce tutti, gli uomini dico, è lo stare dentro un ordine di potere maschile dato per naturale. Non è una colpa dalla quale emanciparsi, ma è il lavoro da fare". Col corpo si può giocare: ma poi c'è il mercato La parola prima, quella più inquietante, sulla quale Maschileplurale ha lavorato (nei gruppi, nelle scuole), è quella che oggi nuovamente porta in piazza le donne (vedi box): violenza. La violenza maschile contro le donne che, inesorabile, riempie cronache e statistiche, spesso senza che se ne individui la radice di diseguaglianza. "È facile dire: sono contro la violenza sulle donne. Chi non lo direbbe?", aggiunge Ciccone, "Più impegnativo è capire che non è un'esplosione insensata e immotivata, che non c'è devianza, ma che siamo di fronte a un deserto delle relazioni, a una sessualità ridotta alla sua dimensione rattrappita e del dominio. Che dietro c'è un immaginario segnato dalla miseria della socialità e della sessualità maschile". E che ciò riguarda tutti gli uomini, come sostiene l'appello di Maschileplurale ripetuto in piazza Farnese. La violenza parla del corpo, altra parola del nuovo vocabolario, forse la più bisognosa di un nuovo pensiero, preda com'è di un immaginario colonizzato da stereotipi ferrei: il ritorno ai generi nei fumetti, in rete, in tv, è la premessa di una nuova subordinazione, aveva avvertito Loredana Lipperini in Ancora dalla parte delle bambine. Lo diceva per le giovani donne, ma anche per i maschi vale il pericolo di pensare che si possa giocare con gli stereotipi senza pagare dazio. "Molte ragazze me lo dicono: faccio la seduttrice ma è una cosa che controllo. Ora lo fanno anche gli uomini. L'i-dea, rischiosa, è che il mercato sia lo spazio della libertà in cui vendo, compro, scambio: corpo, desiderio, immagini". Tenersi la mano tra uomini: un po' ridicolo, però... Nei gruppi maschili si va sperimentando una comunicazione diversa, con il disagio tra maschi di mettere in campo emotività e corpo: Ciccone racconta del provare a tener- si per mano, a ballare un tango facendosi condurre, a sopportare lo sguardo ironico delle amiche, a sentirsi un po' ridicoli, anche... E a districarsi tra i simboli, come durante l'organizzazione di "Da uomo a uomo", loro prima volta in piazza: troppo fallico un unico palco, e allora videobox per autointerviste al maschile e gazebi. "Il tema del corpo per noi è decisivo. Che immagine, quale esperienza abbiamo del nostro corpo? Da un lato c'è un'idea di virilità come impulso inarrestabile, sul quale il vero uomo esercita il controllo, ma contemporaneo è il pensiero che il corpo sia fonte di una dimensione bassa: è la scissione tra sante e puttane che sta dentro di te, e ti consente di mettere in gioco con alcune, e non con altre, una parte della tua sessualità che senti sporca. Dibattito che porta anche al nodo della prostituzione. E c'è la costruzione storica che ha fondato il pensiero razionale maschile sull'estraneità al corpo". Che stress la cultura del rimorchio C'è un altro piano in cui il corpo si fa avanti: la paternità, il rapporto con il figlio, che è già esperienza quotidiana per molti giovani padri. Crollato il modello del pater familias, non è facile costruire un linguaggio della cura senza scimmiottare le mamme o, peggio, cadere nel revanscismo maschile contro un presunto strapotere delle donne. è utile, dice Ciccone, scommettere sul cambiamento partendo anche dalla frustrazione maschile nella relazione con i figli, molto evidente nelle rivendicazioni delle associazioni dei padri separati, come nella relazione sessuale, dominata dall'obbligo di prestazione. "Si parla molto poco dell'insoddisfazione maschile nel sesso, che è in aumento. Il luogo comune dice di una sessualità maschile automatica, banale. Ci siamo sempre detti che gli uomini non si fanno domande sul piacere della loro compagna, oggi verrebbe da chiedersi quanto le donne lo diano per scontato nel partner. Quanto è difficile per un uomo, il cui immaginario è così colonizzato, riconoscere con se stesso, figurarsi cogli altri, che andare a letto con quella bellissima, e così am- bita, non è stato poi questo granché? Questa è l'insoddisfazione che mi fa simile al tizio che incontro in palestra". Una volta smontati i codici coi quali, da maschio, si cresce, non c'è un rischio di paralisi, di anestesia del desiderio? Cosa resta, alla fine, della seduzione, del gioco antico tra uomini e donne? "Se non è uno slogan, resta la libertà. Non si tratta di disciplinare il desiderio, ridursi alle buone maniere, ma di capire cosa ci attrae veramente di una donna. In molte storie di violenza gli uomini raccontano la rabbia che suscita in loro la bellezza femminile, perché incrina il mito maschile dell'autosufficienza. Salvare la tensione tra gli uomini e le donne si può: a patto di avere un nuovo modo di guardarsi. E guardarle". A distanza, qualcuno pare dargli ragione. Gli studenti di Harvard, secondo Newsweek: l'80% di loro sostiene di non poterne più, di essere oppresso "dalla cultura onnipresente e dominante del "rimorchio"". Lo dicono le femmine, e finalmente anche i maschi.

Un anno in giro per l'Italia Serena Dandini ha fatto uno spot alla radio, il sito torniamoinpiazza.it è stato il collettore di appelli e adesioni: e oggi, 28 novembre, le donne - quelle dei centri antiviolenza, delle associazioni, dei collettivi (anche le più giovani), dei gruppi lesbici - daranno vita a Roma a un corteo che parte alle 14 da piazza della Repubblica, per arrivare a piazza San Giovanni. Intorno al 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, molti gli appuntamenti ,a cominciare dalla conclusione - in piazza della Loggia a Brescia - della staffetta dell'Udi che per un anno ha girato l'Italia con la sua anfora, organizzando incontri nelle sale comunali, nelle carceri, nelle università, riuscendo così a raccogliere un milione di messaggi di donne italiane e straniere. Per l'appuntamento di oggi un appello breve: in piazza contro la violenza maschile, per la civiltà della relazione tra i sessi.


mercoledì 2 dicembre 2009

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